I Vescovi d’Italia, riuniti a Roma nei giorni 2-3 settembre 1969, hanno deliberato all’unanimità, durante l’Assemblea Generale Straordinaria, di fare propria la seguente «Dichiarazione» già predisposta e approvata dalle Conferenze Episcopali della Lombardia, del Piemonte e del Triveneto nella riunione congiunta del 20 agosto 1969 e pubblicata nella Domenica successiva 24 agosto.
Prima del 3 settembre alcune Conferenze Episcopali Regionali avevano già dato la loro adesione per iscritto.
La «Dichiarazione», per esplicita delibera della predetta Assemblea, deve essere considerata parte integrante del documento pastorale «Matrimonio e famiglia in Italia».
I Vescovi di fronte alla proposta di introduzione del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano, preoccupati delle conseguenze religiose e morali, intimamente connesse a tale eventualità, coscienti dei loro gravi doveri pastorali in ordine anche al bene comune, si rivolgono ancora una volta ai fedeli delle Chiese ad essi affidate, e, in tale argomento anche a tutti gli uomini di buona volontà, di qualsiasi orientamento ideologico.
Il matrimonio e la famiglia costituiscono la fondamentale comunità umana, nella quale l’uomo si forma e si educa al rapporto sociale. Dalla ordinata situazione della comunità coniugale e familiare dipende il bene della persona e della società civile e religiosa. Tutto ciò che riguarda la natura, il fine, L’efficacia del matrimonio e della famiglia richiede vigile attenzione e decisioni lungamente meditate da parte di ogni cittadino e di ogni cristiano.
Dinanzi a tali gravissimi problemi, che incidono nel profondo della civiltà di un popolo, nessuno può sottrarsi al dovere di favorire soluzioni adeguate.
Rammarica tuttavia il costatare che persone di dichiarata professione cattolica, talora rivestite di rilevanti responsabilità, ma insufficientemente attente alle esigenze della fede, e ai gravi danni morali e sociali del divorzio, vadano sostenendo la tesi divorzista; allineandosi quindi a commenti di chiara ispirazione laicista e anticristiana, determinate a introdurre il divorzio anche nel nostro Paese.
I sostenitori della tesi divorzista giudicano maturo il tempo per modificare il modello di matrimonio indissolubile appartenente alla tradizione civile e cristiana del popolo italiano.
Taluni fra i motivi addotti sono degni di considerazione, ma erroneamente vengono utilizzati quale argomento a favore del divorzio: quelli, ad esempio, che si rifanno per vie diverse al principio di libertà, o alla reciproca indipendenza dello Stato e della Chiesa, o alla necessità di trovare rimedio a situazioni familiari particolarmente difficili.
Tali motivi (addotti in favore del divorzio) non sono sufficienti a sacrificare il valore dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, che è garanzia alla dignità della persona sia dei coniugi sia dei figli. Infatti il principio del rispetto della libertà di coscienza non significa e non comporta che l’ordinamento dello Stato possa o debba legittimare i cittadini ad ogni atto da essi ritenuto lecito.
Perciò chi si oppone all’introduzione del divorzio non viola alcun fondamentale valore o diritto di libertà della persona umana. Ciò, del resto, risulta confermato dal fatto che in nessun Paese del mondo e in nessuna Carta dei diritti fondamentali dell’uomo (Carta dell’ONU, Carta dell’UEO, Carte costituzionali) il divorzio viene presentato come un diritto umano fondamentale che 1o Stato debba riconoscere.
I Vescovi si rendono conto che talune situazioni della vita coniugale e familiare sono causa di profonda sofferenza e di vera infelicità. Queste situazioni meritano indubbiamente comprensione, rispetto, ed aiuto. Ma per dare rimedio a casi particolari o ad esperienze coniugali fallite non si può compromettere il bene comune della società: sul quale quello dei singoli non deve prevalere.
Del bene comune, l’indissolubilità del matrimonio, anche civile, è una componente essenziale. Su di essa, infatti, trovano sicuro fondamento la stabilità, l’efficacia pedagogica, e la funzione sociale della famiglia.
Con il divorzio, il bene comune viene compromesso anche per altri motivi. L’esperienza, scientificamente accertata, dei Paesi che hanno una legislazione divorzista dimostra che nessun male sociale (figli illegittimi, delinquenza minorile, aborto, adulterio ecc.) viene sanato con l’introduzione del divorzio. Questi mali, che venivano spiegati come conseguenze del matrimonio indissolubile, sono anzi aumentati.
Il divorzio legalizzato favorisce d’altra parte il diffondersi di una mentalità divorzista, che aumenta i casi di divorzio e pregiudica, soprattutto nei giovani, la coscienza delle responsabilità proprie dello stato coniugale e familiare.
Contrariamente a quanto viene sostenuto e propagandato con argomenti non veri, l’introduzione del divorzio mentre non risolve validamente le difficoltà, instaura un modello di vita familiare caratterizzato dalla provvisorietà dell’impegno. Nella legislazione divorzista la saldezza del nucleo familiare e la definitività del reciproco impegno dei coniugi non sono più valori giuridicamente garantiti, ma rimangono soltanto una possibilità di fatto, e gravemente indebolita.
I Vescovi ritengono che in uno Stato democratico, come quello italiano – nel quale i diritti della famiglia, come società originaria, precedente lo Stato, vengono riconosciuti dalla Costituzione – non si possa in ogni caso modificare La struttura fondamentale della famiglia stessa senza aver direttamente accertato il pensiero e la volontà della maggioranza del Popolo. Tutto ciò, prescindendo dall’immodificabilità, per unilaterale iniziativa, dello Stato Italiano, della situazione disciplinata dall’articolo 34 del Concordato.
I Vescovi sono consapevoli che la questione del divorzio non esaurisce i problemi del matrimonio e della famiglia. Ritengono perciò importante e urgente un serio approfondimento di tali problemi e un’azione educativa, civica e religiosa, che aiuti efficacemente i giovani nella preparazione al matrimonio, e i coniugi e i genitori a vivere con pienezza umana e cristiana la loro vocazione.
Considerano pertanto inderogabili anche in Italia una riforma del diritto di famiglia e, di conseguenza, una rinnovata e moderna politica familiare.